Il Codice Unico di Identificazione e l’obbligo di registrazione

L’obiettivo del Regolamento UE 745/2017 (MDR) sui dispositivi medici è quello di tutelare la sicurezza del paziente anche rendendo tracciabili i dispositivi medici immessi sul mercato.
È proprio in questo contesto che si inserisce la nuova incombenza che interessa gli studi odontoiatrici relativa alla registrazione del Codice Unico di Identificazione (UDI), divenuta obbligatoria dal 15 gennaio 2024.

L’obbligo della tracciabilità permette a ogni anello della catena distributiva di poter risalire in modo preciso ai fornitori e produttori dei materiali con cui i dispositivi sono stati realizzati, in modo preciso e puntuale. Il fabbricate ha quindi il dovere di definire e mantenere aggiornata una procedura per applicare tempestivamente le opportune misure correttive eventualmente necessarie in caso di problematiche, fino al ritiro dal mercato di singoli lotti o di tutti i dispositivi oggetto della misura immessi in commercio. L’obbligo della tracciabilità vale anche per l’eventuale distributore del dispositivo medico che deve garantire la corretta identificazione della struttura sanitaria o l’operatore sanitario a cui il dispositivo è stato fornito.

È dunque molto importante assicurarsi di rifornirsi da partner distributivi in regola con il Regolamento MDR su questo aspetto (come ad esempio De Ore che è completamente strutturata per gestire questa procedura).
Proprio per questo motivo il Regolamento ha istituito un sistema globale di tracciabilità per i dispositivi (per tutta la filiera) basato sull’utilizzo di un codice unico riconosciuto a livello internazionale (il codice UDI, appunto) che contiene informazioni sul prodotto e sui soggetti che lo gestiscono.
Il codice UDI, indicato dal fabbricante, è composto in particolare da una parte identificativa del dispositivo medico – UDI-DI (il codice del prodotto) – ed una parte identificativa della produzione – UDI-PI (ad esempio il numero di lotto). Da Regolamento il codice UDI deve essere espresso in formato leggibile sia dalle macchine (codice a barre o QR code) sia dall’uomo (numeri e lettere).
Nel dettaglio l’UDI può contenere queste informazioni, quando pertinenti alla natura del dispositivo medico:

  • DI
    • (01): Numero di identificazione globale del prodotto
  • PI:
    • (10) – numero di lotto
    • (11) – data di produzione
    • (17) – data di scadenza
    • (21) – numero seriale

Ovviamente non sempre sono tutte presenti contemporaneamente (ad es. il serial number del dispositivo medico non è applicabile ad un prodotto consumabile, come un impianto dentale).

Per quanto concerne il ruolo degli Operatori Sanitari (come gli odontoiatri), in presenza di dispositivi medici di classe II o classe III, questi professionisti sono tenuti a registrare e conservare i relativi codici UDI, presenti e visibili nel packaging del dispositivo medico in modo da garantirne la tracciabilità.

Per concludere, possiamo dire che la responsabilità dell’odontoiatra è quindi legata alla registrazione delle informazioni del dispositivo medico (UDI) oltre certamente a quella nei conforti del paziente di utilizzare prodotti, certificati, rintracciabili, ovviamente sicuri e che rispettino la Direttiva.
Tuttavia, si precisa che in questa fase transitoria (dove alcuni dispositivi medici acquistati, nonostante siano tra quelli su cui il fabbricante deve indicare il codice, non lo abbiano ancora), il dentista dovrà continuare ad applicare il sistema di tracciabilità usato in precedenza. Per esempio, nel caso di impianto dentale, si può continuare a registrare il numero di lotto e la marcatura CE in cartella clinica (o in altri sistemi elettronici utilizzati) e sul passaporto implantare che verrà consegnato al paziente al termine della cura.

Per approfondire clicca qui e scarica il parere congiunto di ANDI, CAO, UNIDI

Mini-invasività in GBR 3D? Una proposta dal dr Scavia al GBR Symposium

In primo piano

Al 3° GBR GTR Symposium di fine Novembre a Bologna sono stati presentati 28 poster con i quali tanti clinici hanno condiviso la loro esperienza e le loro ricerche con i colleghi. Il dr Stefano Scavia di Milano ha partecipato con 2 lavori per illustrare un’innovativa tecnica di rilascio dei lembi chiamata GBR Pocket technique e l’abbiamo intervistato in merito. Il dr Stefano Scavia è un motivato e capace chirurgo classe 1977, socio fondatore della Minimal Invasive Dental Academy (M.I.D.A.), è innamorato della sua professione e non si fa sconti sui risultati.
Tiene corsi ed insegna al Master di chirurgia orale ed implantologia presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca e dedica la sua attività alla costante ricerca di nuovi approcci per ridurre le complicanze e conseguire i migliori risultati clinici.

D – Dr. Scavia, può spiegarci meglio che cosa sia la M.I.D.A.?

R – La Minimal Invasive Dental Academy è un progetto didattico nato nell’ultimo anno che si occupa di studiare, promuovere ed insegnare nuove tecniche minimamente invasive.
Ci stiamo dedicando a tutti i campi dell’odontoiatria e particolare attenzione la rivolgiamo all’implantologia ed alla chirurgia rigenerativa. Siamo concentrati sulla raccolta delle migliori tecniche minimamente invasive presentate a livello internazionale con l’obbiettivo di divulgarle e se possibile perfezionarle ulteriormente. Ci sono numerose pubblicazioni sulle quali stiamo lavorando.

D – Dr Scavia, ci ha colpito molto il poster che ha presentato al 3° GBR GTR Symposium sulla Pocket Technique in GBR. Ce la descrive?

R – Con la Pocket Technique crediamo di aver trovato una soluzione chirurgica che possa ridurre l’invasività del trattamento rigenerativo quando questo richieda un’estesa ricostruzione ossea tridimensionale. Infatti, se da una parte è in costante aumento la richiesta da parte dei pazienti di trattamenti sempre meno impegnativi, dall’altra è dovere di noi clinici continuare ad offrire cure protocollabili, predicibili e con risultati dallo standard sempre elevato.

D – In cosa consiste la Pocket Technique?

R – Con una singola incisione vestibolo/linguale mesiale al difetto ed un unico accesso mucoso a tunnel siamo oggi in grado di prelevare ed innestare osso con tecnica GBR trattando le grandi atrofie mandibolari posteriori.

D – Quali sono i vantaggi?

R – Rispetto alla tecnica tradizionale il primo vantaggio è indubbiamente quello di avere una ferita molto meno estesa, con meno punti di sutura e di conseguenza con una guarigione più facile e più rapida.
Il secondo vantaggio è la possibilità di un singolo accesso per prelievo ed innesto riducendo ulteriormente l’invasività del trattamento ed il disagio post-chirurgico. Un terzo importante beneficio è la miglior conservazione dell’apporto ematico della mucosa che ricopre la zona rigenerata e riduce la sofferenza dei tessuti molli ed i rischi di esposizione.
Infine, essendo la tecnica priva di incisione crestale ed accollamento verticale dei lembi, abbiamo riscontrato un minor spostamento in senso coronale della giunzione muco-gengivale con minor perdita della gengiva cheratinizzata residua.

D – In quanti casi ha eseguito questa tecnica e in quanti ha avuto esposizioni?

R – Al momento abbiamo documentato 32 casi di Pocket Technique in mandibola posteriore con membrana rinforzata Cytoplast in d-ptfe e controllo ad un anno.
In un singolo caso abbiamo avuto a circa 4 mesi un’esposizione di 2-3mm della membrana nella sua porzione più mesiale, in corrispondenza di una recessione gengivale a carico dell’ultimo elemento naturale adiacente. Per prudenza abbiamo rimosso la membrana sostituendola con una riassorbibile in collagene.

D – Ci sono svantaggi rispetto alle tecniche tradizionali?

R – Lo svantaggio è il maggior grado di difficoltà di questa tecnica rispetto a quella tradizionale. Il tunnel mucoso, per quanto correttamente gestito, consente un accesso più limitato rispetto alla completa scheletrizzazione del difetto osseo, rendendo la curva di apprendimento più lunga. La parte indubbiamente più complessa risulta essere il fissaggio linguale della membrana.

D – Ci sono indicazioni per non usarla?

R – Al momento non ci sono controindicazioni assolute all’utilizzo di questa tecnica in mandibola posteriore, ma un’anatomia sfavorevole al fissaggio della membrana, soprattutto nella sua componente linguale, è un fattore che va valutato attentamente prima di applicarla.

D – Può farci un esempio di anatomia sfavorevole?

R – Ad esempio un osso basale residuo molto scarso, un pavimento orale molto alto, un’inserzione della lingua alta e larga, un’arcata mandibolare particolarmente stretta etc. Rimane comunque l’opportunità, in caso di particolare difficoltà, di poter sempre eseguire una seconda incisione crestale ed eventualmente un rilascio distale trasformando la pocket technique in una classica GBR a lembo aperto.

D – La tecnica consente comunque di raccogliere osso autologo con lo scraper?

R – Si assolutamente, gli scraper sono gli strumenti di raccolta più indicati per la tecnica a tunnel.

D – Prevede che sarà possibile l’utilizzo della GBR Pocket Technique anche in settori differenti dalla mandibola posteriore?

R – Sono convinto che sarà possibile. Stiamo studiando delle soluzioni per semplificare il fissaggio delle membrane utilizzate nella GBR senza dover sacrificare la qualità del risultato rigenerativo. In futuro l’obbiettivo per questa tecnica sarà quello di riuscire a protocollarne l’impiego in ogni settore del cavo orale.

D –Nel caso presentato nel poster ci sembra di vedere che ha suturato con un tipo di sutura che usualmente non viene mai impiegata in chirurgia rigenerativa.

R – Uso obbligatoriamente suture monofilamento soffici nella rigenerazione ossea tridimensionale, ma con la Pocket Technique, eseguendo una singola incisione di lunghezza molto limitata, ci si può concedere anche un tipo di sutura pseudo-monofilamento come la poliammide inguainata utilizzata nel caso del poster. Come osservazione conclusiva posso comunque aggiungere che la direzione della chirurgia mini-invasiva è quella di utilizzare meno suture possibili, già oggi gestiamo con successo molti casi implantari e rigenerativi anche complessi senza l’utilizzo di alcun punto di sutura.

Quando il periostio fa la differenza. Intervista al dr Istvan Urban

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Il dr Istvan Urban di Budapest è uno dei principali maestri mondiali delle tecniche di Guided Bone Regeneration. Recentemente ha presentato un nuovo device ibrido, una combinazione di membrana e mesh. L’abbiamo incontrato al 3°GBR GTR Symposium a Bologna dove ha tenuto un’intesa presentazione ad un folto pubblico di clinici.
In quest’occasione l’abbiamo intervistato a proposito della nuova Mesh Perforata in PTFE (Reinforced Perforated Mesh – RPM).

D – Dr Urban, dove vede le principali indicazioni e i principali benefici per la nuova Reinforced Perforated Mesh – RPM?

R – La nuova RPM trova le sue indicazioni nei difetti verticali maggiori, laddove si vuole permettere una migliore vascolarizzazione.

D – Visto che si tratta di una mesh e non di una membrana tradizionalmente intesa, lei suggerisce l’applicazione di una membrana in collagene o di un vello/fleece di collagene a copertura della RPM?

R – Questa è una bella domanda! Io associo la RPM a una membrana in collagene, ma in uno studio pre-clinico che è stato condotto non si è arrivati a nessuna conclusione in merito. Abbiamo visto un leggero vantaggio in caso di copertura con una membrana ma in ambiente pre-clinico il risultato è stato molto buono anche senza membrana riassorbibile. Comunque clinicamente siamo soliti associare una membrana in collagene a copertura della RPM.

D – Le Reinforced Perforated Mesh – RPM dovrebbero essere rimosse allo stesso intervallo di tempo delle tradizionali membrane Cytoplast© in dPTFE Rinforzate in Titanio?

R – Si. Le RPM dovrebbero essere rimosse con la stessa tempistica a meno che il difetto non sia molto grande. In questo caso preferiamo rimuovere RPM prima del posizionamento dell’impianto. In generale con le RPM abbiamo proprio notato una formazione ossea più veloce.

D – Intende che quando rimuove una membrana Cytoplast© Rinforzata in Titanio aspetta sempre prima di posizionare gli impianti e quanto tempo?

R – Con RPM notiamo una formazione ossea più veloce e pertanto per il posizionamento implantare non si deve attende oltre la rimozione della RPM nel 90% dei casi. Con una barriera non perforata la rimozione anticipata rispetto al posizionamento implantare è più logica; diversamente se ci sono dei fori i vasi possono crescere e non c’è necessità di aspettare. In una piccola percentuale dei casi, quando siamo in presenza di un difetto estremo, prima rimuoviamo la RPM e poi aspettiamo un paio di mesi per posizionare gli impianti.

D – La fissazione è sempre necessaria?

R – Si, certo. Le Reinforced Perforated Mesh – RPM, come le membrane Cytoplast© Rinforzate, vanno sempre fissate. La loro stabilizzazione è fondamentale.

D- Abbiamo notato che la RPM è composta di PTFE denso lungo il perimetro e che lei posiziona diversi pin o viti lungo i margini perimetrali.Sembrerebbe che lo faccia non solo per stabilizzare RPM ma anche quasi per sigillare i bordi. Qual’è il razionale?

R – Sì, metto molti punti di fissaggio lungo i bordi proprio per sigillare meglio il perimetro. In questo modo si ha una qualità ossea migliore e minor infiltrato tissutale.

D – Userebbe le RPM anche negli aumenti di volume orizzontali?

R – Si possono usare le RPM anche negli aumenti orizzontali ma questi difetti possono essere trattati anche con membrane riassorbibili.

D – Cosa accade nel caso di esposizione delle Reinforced Perforated Mesh – RPM?

R – Abbiamo eseguito oltre 100 casi con le RPM e abbiamo avuto una esposizione: la cosa ci ha veramente preoccupati. Comunque abbiamo visto come il tessuto molle sia cresciuto tra la RPM e l’innesto per cui siamo stati in grado di tenerla in situ per oltre 2 mesi. Quando l’abbiamo rimossa avevamo perso circa il 20% dell’innesto mentre il resto era in ottime condizioni.

D – Com’è l’applicazione di una RPM rispetto ad una Cytoplast© rinforzata tradizionale o rispetto ad una mesh in titanio?

R – Inizialmente il produttore Osteogenics Biomedical aveva sviluppato una prima versione della RPM che non è mai stata commercializzata. Si trattava di una mesh in PTFE forata su tutta la superficie ed era difficile da rimuovere. Diversamente dalla prima versione il device oggi commercialmente disponibile è un ibrido, una combinazione di una mesh e di una membrana.
Le parti della RPM che vengono posizionate in corrispondenza del difetto sono forate ma i bordi sono densi. Questo permette un’eccellente maneggevolezza, un’eccellente adattabilità e una facile rimozione rispetto alle griglie. Direi che la rimozione è simile alle membrane tradizionali.

D – Un’ultima domanda: dove suggerirebbe l’impiego di una membrana tradizionale Cytoplast© in PTFE ad alta densità?

R – Io penso che la membrana tradizionale Cytoplast© continui ad avere un’indicazione laddove il clinico tema di avere un’esposizione perché la membrana in dPTFE è certamente la migliore nel caso di esposizione.

GBR Consensus Report
Redatto in occasione del GBR Symposium 2016 adesso è pubblicato.

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Statements and Recommendations for Guided Bone Regeneration
Consensus Report of the Guided Bone Regeneration Symposium Held in Bologna, October 15 to 16, 2016.

Cucchi A, Chierico A, Fontana F, Mazzocco F, Cinquegrana C, Belleggia F, Rossetti P, Soardi CM, Todisco M, Luongo R, Signorini L, Ronda M, Pistilli R., Implant Dent. 2019 Aug;28(4):388-399. doi: 10.1097/ID.0000000000000909.

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Scrivi a info@deorematerials.com
per richiedere una copia dell’articolo.

MORE SPACE FOR VITAL BONE – Feed back del dr Fabrizio Belleggia.

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“Quando ho riaperto i casi clinici di aumenti ossei eseguiti con Zcore ho avuto la netta impressione che il nuovo osso fosse particolarmente duro senza particolari tracce di granuli. Le indagini istomorfometriche, eseguite sulle mie biopsie dall’Università Clinica di Friburgo, mi hanno confermato una formazione ossea superiore.”

 

D – Dr Belleggia, Zcore® è un materiale eterologo di origine suina che in base ai dati disponibili vanta probabilmente la più ampia porosità, ovvero 88% di spazi vuoti nei granuli “piccoli” (0,25 – 1 ,0 mm) e 95% nei granuli “grandi” (1,0 mm – 2,0 mm). Qual è stata la sua impressione?

R – Dai materiali da innesto si chiede innanzitutto una buona osteoconduttività. Quindi la porosità, ovvero l’effetto scaffold, sono essenziali e Zcore® sembra essere ottimale in questo senso.

D – Qual è la sua esperienza con Zcore®?

R – Quando ho iniziato ad usarlo a fine 2016 la maneggevolezza mi è sembrata ottima ed in linea con i materiali internazionali. L’ho utilizzato in diverse situazioni cliniche, dai siti post-estrattivi agli aumenti di volume. Quando ho riaperto i primi casi la quota dei granuli visibili otticamente era assai modesta e ottimamente integrata in un tessuto duro, più che adeguato per le osteotomie implantari.


Il sito al momento della chirurgia richiede aumento per via sinusale e orizzontale


A 8 mesi il sito riaperto per l’inserimento implantare mostra tessuto neoformato duro e materiale innestato ottimamente

D – Hai quindi voluto una verifica istomorfometrica?

R – Faccio fare spesso delle analisi istologiche, ma per Zcore® ho voluto far eseguire dall’Università di Friburgo le analisi istomorfometriche per verificare esattamente le premesse date dalla morfologia del materiale. I risultati istomorfometrici hanno confermato le impressioni cliniche. Fatto salvo che la quota di osso neoformato varia molto in ragione della morfologia del difetto, nel caso impegnativo qui illustrato la quota di osso neoformato è arrivata ad essere di circa il 16%, dato molto interessante dal momento che in letteratura si trovano valori inferiori per materiali eterologhi simili, come lo studio condotto dalla New York University sul seno mascellare con il 100% di osso bovino deproteinizzato (Bio-Oss), dove dopo un periodo di 6-8 mesi trovarono il 12% di osso neoformato.

D – Come posiziona Zcore® in base alla sua esperienza?

R – Abbiamo altri casi e report istomorfometrici che stiamo organizzando in un lavoro che è nostra intenzione pubblicare. Mi sembra che il rapporto tra spazio tridimensionale disponibile nello scaffold e la formazione di osso vitale abbia molto senso e i nostri report sembrano confermarlo: a una porosità maggiore corrisponde una maggiore formazione ossea forse in modo più che direttamente proporzionale. Certamente servono altri dati ma per ora considero Zcore mi sembra un tessuto eterologo deproteneizzato di scelta.

Guarda un caso clinico completo del Dr. Fabrizio Belleggia

MORE SPACE FOR VITAL BONE – ZCORE®

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Si chiama ZCore® il nuovo innesto eterologo commercializzato da De Ore e Osteogenics Biomedical Inc. (Cytoplast®).

Più spazio per osso vitale

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ZcoreTM è un nuovo minerale osseo anorganico con una struttura di carbonato apatite derivata dall’osso spongioso suino.

  • La struttura porosa microscopica e macroscopica di interconnessione supporta la formazione e la crescita di nuovo osso.
  • 88% – 95% di spazi vuoti: l’iperporosità della matrice spongiosa suina e lo spazio tra le particelle facilitato dalla morfologia ruvida della particella riducono la densità della massa dell’innesto permettendo un maggior spazio vuoto per la crescita di nuovo osso.*
  • Con l’origine suina si elimina ogni rischio di trasmissione della BSE.
  • Trattato a caldo con una temperatura ottimale che assicura una grado di cristallinità corrispondente al minerale osseo nativo per consentire il rimodellamento dell’osso di guarigione
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  • Un processo di lavorazione brevettato preserva l’interconnesione sia macroscopia che microscopica della struttura porosa.
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Formati disponibili

ZcoreTM granuli 0,25 – 1,00 mm

0.5 cc Part No. ZS050
1.0 cc Part No. ZS100
2.0 cc Part No. ZS200
4.0 cc Part No. ZS400

ZcoreTM granuli 1,00 – 2,00 mm

1.0 cc Part No. ZL100
2.0 cc Part No. ZL200

Highlights dal GBR Symposium

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Si è svolto a Bologna con grande successo il 2° GBR Symposium. I partecipanti, superiori alle aspettative, hanno apprezzato i contenuti di tutte le presentazioni, tutte di altissimo livello.

I “gibierristi”, come il dr Pistilli ha definito i relatori Italiani, hanno discusso tutti i dettagli della tecnica GBR, dall’anatomia alle diverse modalità di rilascio dei lembi, dalle complicanze fino ai risultati “long term”.

I due relatori esteri hanno mostrato nuove prospettive: un’acclamatissima presentazione di Istvan Urban ha spaziato dai dettagli anatomici alle nuove membrane riassorbirli elastiche Vitala® per le GBR orizzontali fino alle future membrane perforate Cytoplast da usare con i fattori di crescita; il dr Eiji Funakoshi – Giappone – con la tecnica “open barrier” ha mostrato un tipo di GBR che, come ha detto il relatore, può essere affrontato anche dal dentista meno esperto.

Tutti hanno chiesto quanto si terrà il 3° Symposium!

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L’acido ialuronico in parodontologia. Intervista al prof. Andrea Pilloni.

Andrea Pilloni: cattedra di Parodontologia alla Sapienza a Roma, socio attivo SIdP, master in Periodontology a UCLA con una tesi sull’acido ialuronico (HA). Nessuno meglio di lui può esprimere un parere sull’impiego dell’HA in parodontologia e implantologia. L’abbiamo raggiunto via skype nel suo studio all’Università.

D – Prof. Pilloni, Lei ha una lunga esperienza nelle applicazioni parodontali dell’acido ialuronico (Hyaluronic Acid HA) iniziata sin dal 1989 in occasione del suo Master negli USA presso la UCLA. Quali sono i risultati dei suoi studi?

R – Devo ringraziare l’Università della California Los Angeles per aver accettato la mia proposta di ricerca sull’HA. Con il Prof. Bernard, Chairman del Bone Biology Center, iniziammo ad osservare il comportamento delle cellule mesenchimali di derivazione dalla calvaria che andavano in confluenza e si differenziavano in osteoblasti con qualità e tempistica decisamente migliori rispetto ai controlli quando erano associate all’HA. Subito dopo dimostrammo non solo l’attività batteriostatica dell’HA, ma anche di promozione della calcificazione del legamento. E così via via riuscimmo a confermare l’importante ruolo biologico della molecola dell’HA che è presente nell’early healing di quasi tutti i tessuti. Per fare un esempio, i tessuti embrionali e fetali sono ricchissimi di HA, mentre nell’adulto lo si ritrova in quantità davvero esigue. In quest’ultimo l’HA è presente in alte concentrazioni solo nel legamento parodontale e nell’umor vitreo.

D – Ha condotto anche studi clinici oltre alla ricerca di base?

R – Nel 2011 abbiamo pubblicato uno studio randomizzato controllato su 19 pazienti in cui abbiamo dimostrato che l’impiego dell’HA comporta una significativa riduzione dell’infiammazione gengivale rispetto alla sola igiene orale professionale.

D – L’HA può avere applicazioni anche nella terapia parodontale chirurgica?

R – Certamente si, perché ci sono tutte le premesse biologiche, soprattutto grazie alla capacità dell’HA di stabilizzare il coagulo. Questo aspetto è stato dimostrato da molti anni in diversi settori della medicina rigenerativa su riviste ad alto “impact factor”. Purtroppo non è stato ancora dimostrato in odontoiatria con studi randomizzati altrettanto validi, ma sono in corso diversi lavori in merito sia con il mio gruppo alla Sapienza che in altri centri internazionali.

D – In quali indicazioni chirurgiche lo impiega?

R – Come si può vedere dai case report lo utilizzo nella chirurgia parodontale dei difetti intraossei (GTR) e in moltissime chirurgie dei tessuti molli per ridurre i tempi e migliorare la qualità della guarigione delle ferite: ad esempio nella copertura delle recessioni eseguita con varie tecniche e nei siti di prelievo per l’innesto di connettivo.

D – Può essere impiegato anche in GBR?

R – Direi di sì, per le stesse ragioni di cui sopra: stabilizza meglio il coagulo quando è mescolato agli innesti in granuli che vengono sepolti sotto le membrane. Inoltre l’HA è coinvolto enormemente nel processo di guarigione della ferita che è un fattore importante in GBR.

D – Può ridurre il rischio d’esposizione delle membrane?

R – Non abbiamo alcuno studio ma ritengo che si utile stratificarlo sopra la membrana per migliorare e accelerare i processi di guarigione dei tessuti molli. Sottolineo però che si deve sempre trattare di una guarigione per prima intenzione e la membrana deve essere coperta.

 

D – E’ preferibile l’impiego di HA cross–linked o non cross-linked?

R – L’HA “crossed-linked” esercita la sua funzione più a lungo e quindi è più stabile. I vantaggi sono ancora una volta una maggior stabilizzazione del coagulo.

D – L’HA può sostituire l’impiego delle amelogenine in parodontologia?

R – Non ci sono studi comparativi. Ci sono però buone premesse biologiche proprio perché stabilizza il coagulo, cosa che non è una prerogativa della amelogenina la cui applicazione, al contrario, deve essere eseguita in un sito senza sangue.

D – L’HA può sostituire i concentrati piastrinici?

R – Sono cose diverse e non ci sono lavori comparativi sebbene entrambi perseguano gli stessi scopi: migliorare ed accelerare le guarigioni dei tessuti. I concentrati piastrinici sono una “costruzione” di fattori di crescita che non è naturalmente presente nel corpo umano e sono abbastanza indaginosi da preparare. L’HA non è un fattore di crescita, è presente nel corpo umano ed è molto “user friendly”.

D – Che cosa le piace di più nella vita?

R – Mi piacciono le persone che sorridono. (☺: ndr)

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