Il Codice Unico di Identificazione e l’obbligo di registrazione

L’obiettivo del Regolamento UE 745/2017 (MDR) sui dispositivi medici è quello di tutelare la sicurezza del paziente anche rendendo tracciabili i dispositivi medici immessi sul mercato.
È proprio in questo contesto che si inserisce la nuova incombenza che interessa gli studi odontoiatrici relativa alla registrazione del Codice Unico di Identificazione (UDI), divenuta obbligatoria dal 15 gennaio 2024.

L’obbligo della tracciabilità permette a ogni anello della catena distributiva di poter risalire in modo preciso ai fornitori e produttori dei materiali con cui i dispositivi sono stati realizzati, in modo preciso e puntuale. Il fabbricate ha quindi il dovere di definire e mantenere aggiornata una procedura per applicare tempestivamente le opportune misure correttive eventualmente necessarie in caso di problematiche, fino al ritiro dal mercato di singoli lotti o di tutti i dispositivi oggetto della misura immessi in commercio. L’obbligo della tracciabilità vale anche per l’eventuale distributore del dispositivo medico che deve garantire la corretta identificazione della struttura sanitaria o l’operatore sanitario a cui il dispositivo è stato fornito.

È dunque molto importante assicurarsi di rifornirsi da partner distributivi in regola con il Regolamento MDR su questo aspetto (come ad esempio De Ore che è completamente strutturata per gestire questa procedura).
Proprio per questo motivo il Regolamento ha istituito un sistema globale di tracciabilità per i dispositivi (per tutta la filiera) basato sull’utilizzo di un codice unico riconosciuto a livello internazionale (il codice UDI, appunto) che contiene informazioni sul prodotto e sui soggetti che lo gestiscono.
Il codice UDI, indicato dal fabbricante, è composto in particolare da una parte identificativa del dispositivo medico – UDI-DI (il codice del prodotto) – ed una parte identificativa della produzione – UDI-PI (ad esempio il numero di lotto). Da Regolamento il codice UDI deve essere espresso in formato leggibile sia dalle macchine (codice a barre o QR code) sia dall’uomo (numeri e lettere).
Nel dettaglio l’UDI può contenere queste informazioni, quando pertinenti alla natura del dispositivo medico:

  • DI
    • (01): Numero di identificazione globale del prodotto
  • PI:
    • (10) – numero di lotto
    • (11) – data di produzione
    • (17) – data di scadenza
    • (21) – numero seriale

Ovviamente non sempre sono tutte presenti contemporaneamente (ad es. il serial number del dispositivo medico non è applicabile ad un prodotto consumabile, come un impianto dentale).

Per quanto concerne il ruolo degli Operatori Sanitari (come gli odontoiatri), in presenza di dispositivi medici di classe II o classe III, questi professionisti sono tenuti a registrare e conservare i relativi codici UDI, presenti e visibili nel packaging del dispositivo medico in modo da garantirne la tracciabilità.

Per concludere, possiamo dire che la responsabilità dell’odontoiatra è quindi legata alla registrazione delle informazioni del dispositivo medico (UDI) oltre certamente a quella nei conforti del paziente di utilizzare prodotti, certificati, rintracciabili, ovviamente sicuri e che rispettino la Direttiva.
Tuttavia, si precisa che in questa fase transitoria (dove alcuni dispositivi medici acquistati, nonostante siano tra quelli su cui il fabbricante deve indicare il codice, non lo abbiano ancora), il dentista dovrà continuare ad applicare il sistema di tracciabilità usato in precedenza. Per esempio, nel caso di impianto dentale, si può continuare a registrare il numero di lotto e la marcatura CE in cartella clinica (o in altri sistemi elettronici utilizzati) e sul passaporto implantare che verrà consegnato al paziente al termine della cura.

Per approfondire clicca qui e scarica il parere congiunto di ANDI, CAO, UNIDI

Corsi in autunno – Save the dates!

Diventa un artista della rigenerazione!*

*Si ringrazia il dr Paolo Rossetti di Milano per l’immagine del caso clinico nel quadro

Sempre più casi implantari necessitano di una terapia rigenerativa che non tutti gli studi possono offrire.

In autunno proponiamo questi corsi…
per diventare un artista della rigenerazione!

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Prossimi Corsi De Ore Education

Dal successo chirurgico al successo prognostico in GBR. Una giornata con Marco Ronda.
+ GBR Workshop a numero chiuso – Venerdì 20 Novembre

DR. MARCO RONDA
Bologna, 21 Novembre 2015

Report dal congresso European Academy Osteointegration, Rome

Si è svolto a Roma nei giorni 25, 26 e 27 Settembre 2014 il congresso della European Academy of Osteintegration.
I clinici Italiani hanno portato un importante contributo sul tema della GBR sia nella sessione poster che nelle comunicazioni e nelle presentazioni.

POSTER

Dr Fabrizio Belleggia, Roma – Argomento: i vantaggi dello stage approach in GBR.

Il dr Belleggia, attraverso un caso clinico di GBR verticale con l’aiuto di viti di sostegno Profix®, argomenta come lo stage approach nella chirurgia rigenerativa e implantare possa offrire un’ottima ricostruzione dei tessuti duri e molli senza estendere i tempi del trattamento. Secondo il dr Belleggia i pros sono la possibilità di contare su una superficie ossea maggiore (che permette il duplice rilascio dei fattori di crescita durante la GBR e durante l’inserimento impiantare), un posizionamento impiantare semplificato, una miglior gestione del tessuto molle poiché viene richiesto un lembo a mezzo spessore per l’apporto ematico di un innesto gengivale.

Guarda il poster


Dr Roberto Luongo, Bari – Argomento: preservazione traumatica dell’alveolo con una membrana Cytoplast® TXT

Il dr Luongo ha mostrato la tecnica della preservazione atraumatica dell’alveolo per mezzo di una membrana Cytoplast® ad alta densità lasciata esposta e il contestuale posizionamento implantare. Separando il tessuto molle dall’innesto osseo ha permesso il posizionamento dell’impianto post estrattivo anche in assenza del piatto buccale.

 

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Dr. Paolo Maridati, Dr. Sergio Cremonesi – Caravaggio (BG), Dr. Filippo Fontana – Milano – Argomento: trattamento di una membrana Cytoplast® esposta.

Il dr Paolo Maridati di Bergamo, in un poster presentato con altri autori, ha illustrato la procedura chirurgica impiegata per gestire l’esposizione non programmata di una membrana in dPTFE nel caso di una paziente che, a seguito di un’estrazione di un elemento 25 fratturato, presentava un grave difetto osseo della cresta alveolare. Dopo due mesi dall’estrazione l’inserzione di un impianto era stata accompagnata dal posizionamento di materiale eterologo coperto da una membrana Cytoplast® in dPTFE che si è esposta ad una settimana dall’intervento. Mancando gonfiore e infezione la membrana è stata lasciata esposta ed è stata monitorata per 30 giorni durante i quali la paziente è stata istruita ad eseguire una pulizia del sito esposto ogni otto ore con clorexidina 0,2 e a sottoporsi a controlli ogni 3 giorni. La membrana è stata rimossa dopo 4 settimane dall’esposizione e il sito è stato protetto con un innesto di connettivo prelevato dal palato. Quando è stato eseguito il rientro chirurgico per la seconda chirurgia implantare l’osso peri-implantare non era minimamente compromesso. Gli autori hanno concluso che le ridotte dimensioni dei pori (0,3 micron, ndr) presenti sulla membrana Cytoplast® hanno consentito di ritardarne la rimozione e che insieme alla protezione dell’innesto il risultato non è stato assolutamente compromesso.

Abstract pubblicato sul COIR, Vol. 25, Supplement 10, September 14


Dr Fabrizio Belleggia, Roma – Argomento: trattamento di membrana esposta ed infetta. Risultato clinico ed istologico.

Nel poster il dr Belleggia ha presentato un caso di una membrana non riassorbibile Cytoplast® in dPTFE che si era esposta dopo due settimane a causa dell’impatto della cuspide del dente antagonista. Poiché anche i margini della membrana si erano esposti il risciacquo con clorexidina / 8 ore non ha impedito l’infezione che ha obbligato alla rimozione della membrana pochi giorni dopo. Rimosso il tessuto infetto, quello non contaminato è stato lavato e coperto con una membrana Cytoplast® RTM a lento riassorbimento che a sua volta è stato coperta da un fleece di Medicipio in puro collagene per guidare ed accelerare l’epitelizzazione. A distanza di otto mesi il risultato clinico, avvalorato da una documentazione istologica, ha permesso il normale inserimento degli impianti.

Guarda il poster


Dr Paolo Rossetti, Mi – Argomento: anatomia e tecnica dei lembi linguali

Il dr Paolo Rossetti ha mostrato i dettagli di una tecnica in 3 step per lo spostamento coronale del lembo linguale in una serie di sette casi di GBR verticale (eseguiti con membrane non riassorbirli Cytoplast® e innesto osseo eterologo Equimatrix in quattro casi ndr):

  • elevazione del lembo linguale fino alla linea miloidea
  • lacerazione del periosteo e lacerazione delle fibre superficiali
  • stiramento delle fibre superficiali in direzione coronale

Guarda il poster

Alla ricerca del picco osseo.
Ne parliamo con il Dr Franco Weisz

Dr. Franco WeiszCi sono tanti aspetti che sembrano sfumature, ma in realtà hanno un ruolo fondamentale nella GBR. Una di queste è la corretta individuazione dei picchi ossei. E’ questo uno degli argomenti che abbiamo discusso con il dr Franco Weisz nel suo studio romano, un “rigeneratore” della prima ora e uno dei primi che ha dato il benvenuto a De Ore. Ci accoglie con il sorriso che solo lui sa sfoderare.

D – Da quanto tempo fa GBR?

R – A questa domanda mi viene da sorridere perché è passato così tanto tempo che è difficile ricordare bene!!

D – GBR sempre fatta con successo?

R – Non sempre, soprattutto all’inizio. Ho avuto anche qualche insuccesso dovuto in gioventù alla minor esperienza e conoscenza nella gestione dei tessuti molli che mi ha fatto deviare sulle riassorbibili, ma certamente con risultati non altrettanto soddisfacenti dei casi riusciti con le non riassorbibili.

D – Com’è stato il passaggio dal Gore-Tex al Cytoplast®?

R – Non ho visto differenze nel risultato sotto alla membrana. Cytoplast™ dovrebbe tollerare meglio le esposizioni ma per ora non ne ho avute.

D – Uno dei suoi casi (vedi poster ndr) è molto interessante in merito alla posizione del picco osseo…

Clicca per vedere il poster

R – Non si può fare GBR tridimensionale senza un’attenta valutazione del picco osseo distale e di conseguenza la ricerca del picco di riferimento è essenziale, anche a costo di sacrificare il dente che su un lato ha un picco osseo troppo apicale. Tuttavia forse non è sempre così. Nel caso del poster, dove il picco osseo di rifermento era quello distale al dente, non è stato possibile sacrificare l’elemento perché il paziente si è opposto. E per questo ho dovuto seguire un percorso meno ortodosso.

D – Ovvero?

R – Mi sono appoggiato con la membrana sul picco osseo mesiale molto apicale. Avevo visto altri case report, come un noto caso di Massimo Simion, che avevano avuto successo e ho dovuto seguire quella strada.

D – La ritiene predicibile?

R – Credo dipenda molto dal biotipo, in senso biologico, del paziente. Il biotipo paziente, infatti, è un criterio da considerare sempre e può essere determinante nel successo e nel mantenimento. Nel caso che stiamo discutendo il paziente aveva esostosi voluminose che testimoniano una spontanea tendenza alla sovraproduzione di tessuto osseo. Un altro criterio può essere la giovane età del paziente.
Potremmo menzionare anche le membrane rinforzate usate, soprattutto in passato, per il trattamento delle recessioni paradontali: in questi casi si è in presenza di tessuto che non parte da picchi ossei ma ciò nonostante esiste un potenziale importante.

D – Essendo uno dei primi rigeneratori, ci da un giudizio sul mantenimento dell’osso rigenerato?

R – Posso sicuramente dire con gli aumenti ossei orizzontali con impianti Branemark lisci si sono mantenuti molto bene nel tempo, con una perdita minima. Diversamente con gli onlay graft misti verticali ed orizzontali ho avuto nell’arco di 10 anni riassorbimenti importanti che mi hanno spesso portato alla perdita degli impianti con superficie rigosa.

D – Un consiglio alle nuove generazioni?

D – Consiglio di imparare a menadito il rilascio dei lembi ma anche le tecniche di chiusura.

D – Cosa le piace nella vita?

R – La musica ad esempio, dalla classica ai Rolling Stones di cui non mi perderò il prossimo concerto a Roma.

Leggi i pareri di:

Dr TodiscoIl parere di Marzio Todisco

Il caso è molto interessante. Io personalmente, come avrebbe fatto il collega Weisz se avesse potuto, avrei sicuramente estratto il dente perché in questi casi la GBR è possibile, ma non è predicibile.

 
 

Dr RondaIl parere di Marco Ronda

Sicuramente il caso non presenta le condizioni ideali. Alla luce della limitazione posta del paziente ha valso la pena tentare ma, sebbene in letteratura la rigenerazione su denti sia possibile, la mancanza di sigillo, che diversamente sarebbe avvenuto appoggiandosi sul picco distale dopo l’estrazione, aumenta la mancanza di predicibilità.

 

Prof SimionIl parere di Massimo Simion

Mi complimento con l’amico Franco per il bel caso risolto nel migliore dei modi. La tecnica chirurgica di rialzo verticale in assenza di picchi ossei mesiali e/distali è estremamente conservativa perché permette di mantenere i denti naturali. Attualmente viene eseguita con successo da alcuni di noi quasi routinariamente. Tuttavia, deve essere ancora considerata come sperimentale, in quanto non esistono dati in letteratura, ma solo case report. E’ una tecnica possibile, ma non se ne conosce la predicibilità e soprattutto è estremamente dipendente dall’esperienza dell’operatore. Quindi, prudentemente, consiglio di non avventurarsi in questa tecnica se non si hanno alle spalle anni di continua esperienza con la GBR.

C’è un impianto ideale per la rigenerazione?
Ne parliamo con il Prof. Massimo Simion

Si è sempre discusso su quale fosse la membrana ed il sostituto osseo che dessero i migliori risultati nella terapia rigenerativa GBR. Forse sono state più trascurate le considerazioni in merito a quale fosse l’impianto più indicato. Ne parliamo con il prof. Massimo Simion che recentemente ha cambiato i paradigmi tradizionali in merito alla necessità di avere superfici implantari ruvide e auspica un ritorno alle superfici “machined”.

D – Prof. Simion, ci sono considerazioni particolari in merito al tipo di impianto da scegliere per la terapia rigenerativa?

R – Certamente sì. L’inserimento di un impianto in osso rigenerato o da rigenerare pone problemi diversi rispetto ai casi che non richiedono rigenerazione. E’ fuori discussione che negli aumenti tridimensionali con innesti a blocco subentri un’importante quota di riassorbimento osseo che può arrivare al 40% o anche al 50%. Questo è di per sé un dato che mi lascia alquanto perplesso rispetto a queste soluzioni ma è chiaro che, qualora per vari motivi, si decidesse di ricorrere a innesti a blocco, la scelta dell’impianto è fondamentale.

D – Perché?

R – Al fine di ridurre la contaminazione batterica sulle superfici che si dovessero esporre è opportuno usare un impianto con superficie “liscia”o “machined”. Come è stato dimostrato dagli studi del Prof. Tord Berglund, le superfici “machined” non favoriscono il proliferare dei batteri e l’instaurarsi o il progredire della peri-implantite. Diversamente, l’esposizione di superfici ruvide crea un grave problema di contaminazione e di progressiva e ulteriore perdita di osso. Trovo che impiegare un impianto a superficie ruvida in associazione ad un aumento con innesto osseo sia una controindicazione assoluta.

D – E per quanto riguarda la GBR?

R – Diversamente dagli innesti, bisogna distinguere tra correzione di piccoli difetti e tra rigenerazione verticale e orizzontale. I piccoli difetti sono facili da trattare anche con membrane riassorbibili, ma è chiaro che il rischio d’esposizione potenzialmente c’è sempre. In questi casi non ci si deve solo preoccupare della guarigione dei tessuti molli, ma si deve riflettere sull’inevitabile contaminazione di innesto e superficie implantare in caso d’esposizione. Non ho alcun dubbio che sia meglio impiegare un impianto con superficie liscia.

D – Per quanto riguarda invece gli aumenti di volume con la GBR?

R – I volumi orizzontali sono sempre molto ben mantenuti nel tempo soprattutto con l’impiego di membrane in PTFE. Negli aumenti verticali alcuni autori lamentano una quota di rimodellamento osseo più o meno importante mentre altri, sottolineando l’importanza della dimensione orizzontale in associazione alla verticale, hanno risultati più stabili nel tempo. E’ chiaro, comunque, che in ogni caso è opportuno difendersi dai rischi di rimodellamento osseo e di contaminazione della superficie implantare utilizzando superfici lisce e non solo nel collare coronale.

D – La sua opinione personale?

R – I miei casi di GBR verticale eseguiti agli inizi degli anni 90 con impianti Branemark machined sono ancora perfetti.

1997: RX iniziale di difetto trattato con GBR

1997: RX iniziale di difetto trattato con GBR

1997: Posizionamento di membrana Gore-Tex in PTFE

1997: Posizionamento di membrana Gore-Tex in PTFE

2013: RX del caso dopo 16 anni

2013: RX del caso dopo
16 anni

 

D – Ma una superficie trattata non può agevolare la formazione ossea e la rigenerazione?

R – Come ho dimostrato con recenti studi sperimentali la velocità dell’osteointegrazione, il BIC, non dipende dalla superficie ma dalla formazione ossea che parte dai trucioli ossei dell’inserimento. Pertanto sono certo che le superfici ruvide siano ininfluenti, se non negative, nel delicato ambiente della rigenerazione dove ci sono già diverse variabili da tenere sotto controllo. Togliere la variabile di una superficie ruvida è di per sé un grande passo avanti nella riduzione dei rischi.

Difetto verticale con pin di sostegno membrana

Difetto verticale con pin di sostegno membrana

Rimozione di membrana Cytoplast®

Rimozione di membrana
Cytoplast®

Inserimento di due impianti machined iMAXpro

Inserimento di due impianti machined iMAXpro

 

 

D – Il disegno dell’impianto fa la differenza?

R – Certamente. Quello che conta è la possibilità di inserire impianti in scarso osso residuo ottenendo comunque una speciale stabilità primaria. Questa infatti non è solo conditio sine qua non per il carico immediato, ma anche per la stabilità biologica dei tessuti da rigenerare. Quindi è necessario utilizzare impianti che, grazie al loro design con spire particolarmente aggressive, garantiscano un’importante stabilità iniziale, anche in presenza di scarsissimo osso residuo.

Per approfondire questi e altri argomenti iscriviti a Osteointegration Revisited, 11 e 12 Aprile 2014, Padova. Un corso pratico consente anche la prova di tecniche rigenerative con membrane, sostituti ossei e sistema di fissazione Profix®. Scarica la locandina con programma e scheda d’iscrizione su www.imax3.com

Cytoplast RTM Collagen. Ne parliamo con il dr Marzio Todisco

L’utilizzo delle membrane riassorbibili in GBR è frequente ma la loro efficacia è spesso controversa.
Per approfondire e fare chiarezza su questi temi ne parliamo con il dr Marzio Todisco di Desenzano del Garda che utilizza sia membrane in PTFE che membrane riassorbibili.

D – Dr Todisco, cosa pensa dell’impiego delle riassorbibili?

R – Concordo che il loro impiego è a dir poco controverso.
La letteratura internazionale non fornisce, nel modo più assoluto, risultati univoci sul reale effetto barriera (principio fondamentale nella tecnica della GBR) delle membrane riassorbibili.
Possiamo affermare che, tra le membrane riassorbibili, quelle naturali, e in particolare quelle in collagene, sono tra le più impiegate. Inoltre è doveroso anche sottolineare che non tutte le membrane riassorbibili hanno caratteristiche sovrapponibili relativamente al mantenimento dello spazio e soprattutto al tempo del loro riassorbimento.
Purtroppo molte aziende con la compartecipazione di molti colleghi diffondono finte verità in merito a diversi aspetti.

D – Ovvero?

R – Mi riferisco:

  • alla possibilità di ottenere tessuto mineralizzato dopo poche settimane di permanenza della membrana
  • alla possibilità di ottenere GBR di successo anche con membrane esposte
  • alla possibilità di ottenere GBR di successo senza sistemi di fissaggio delle membrane

Contesto queste affermazioni perché:

  1. La letteratura accreditata e più attendibile riconosce in minimo 5-6 mesi il tempo necessario per ottenere esiti soddisfacenti dopo GBR. Molte membrane in collagene (soprattutto se non cross-linked) si bio-degradano in poche settimane. Tali membrane potrebbero avere altre applicazioni (es. Guided Tissue Regeneration, GTR) ma sicuramente non nella ricostruzione dell’osso.
  2. Anche le membrane riassorbibili non si devono MAI esporre. Una membrana esposta si degrada ancora più rapidamente per effetto di enzimi proteolitici di provenienza batterica, macrofagica e da polimorfonucleati. Oggettivamente il fallimento in caso di esposizione è sempre totale.
  3. Le membrane devono essere SEMPRE fissate. Anche questa è una verità incontrovertibile ma purtroppo, anche su palcoscenici importanti, si vedono relazioni in cui il posizionamento di 1 o 2 membrane in collagene in siti ove è richiesta rigenerazione avviene senza fissaggio. Ovviamente, non è mai dato verificare, con una riapertura dimostrativa, cosa realmente succede (o meglio non succede) in siti così trattati. Diverso è se la membrana ha un semplice effetto di contenimento ma in tal caso bisogna non confondere le indicazioni chiamando membrana quello che è un collagene con una semplice funzione contenitiva.


D – C’è una differenza tra membrane cross linked e non cross linked?

R – Sebbene molta letteratura sottolinea che taluni sistemi di cross-linking (vedi cross-linking chimici con glutaraldeide GA) possano dare origine a reazioni tissutali indesiderate avendo anche effetti negativi sulla capacità osteo-promotrice propria del collagene, nella realtà clinica talune membrane cross- linked performano molto bene in difetti abbastanza contenuti.

D – PTFE vs Collagene?

Analizzando le tecniche di utilizzo delle membrane si può evincere come i principi che devono guidare il posizionamento di una membrana in PTFE siano esattamente gli stessi criteri da adottare nell’utilizzo delle membrane riassorbibili.
C’è poi l’argomento, esteso e non del tutto trattabile in modo esaustivo per mancanza di dati, dei siti la cui morfologia classifica il difetto come contentivo o non contentivo, critico o non critico (quindi con un potenziale di guarigione spontaneo o non spontaneo). E’ questo un vastissimo capitolo in cui entrano in gioco forma e dimensione del difetto, difetto acuto o cronico, potenziale di guarigione del paziente e talvolta la posizione del difetto (per esempio siamo sicuri che nello stesso paziente lo stesso difetto guarirebbe allo stesso modo nel mascellare superiore o nella mandibola?).

D – Ma se le membrane in PTFE hanno una performance assolutamente predicibile (cosa che non sempre si può dire per le membrane riassorbibili) perché usare le riassorbibili?

Non essendoci ancora un protocollo che dimostri quale è, per esempio, la migliore associazione tra “membrana riassorbibile – sostituto osseo”, oltre a:

  1. non sapere quale siano i difetti limite oltre i quali tali membrane non possono funzionare
  2. non sapere che tipo di membrana/e usare

dovremmo riaprire sempre le nostre aree di intervento per verificare se veramente è cresciuto un tessuto sufficientemente mineralizzato. Ma se è sempre necessario un secondo intervento decade il senso di utilizzare una membrana riassorbibile che non ci garantisce un’assoluta predicibilità.

D – Alcuni clinici consigliano PTFE per GBR verticale e membrane riassorbibili per GBR orizzontale.

E’ vero. Tuttavia io invito alla massima cautela i colleghi convinti di ricostruire difetti orizzontali del processo alveolare senza in realtà ottenere i risultati sperati.
E’ stimato che oltre il 40% degli impianti dentali venga inserito associato ad una procedura rigenerativa. Il fallimento di tale procedura associata al contestuale posizionamento degli impianti può di per se essere causa di peri-implantite.

Solo quando un protocollo avrà chiarito l’associazione membrana-osso, i difetti limite e le necessarie caratteristiche per una riassorbibile, si materializzerà il vero vantaggio nell’impiego delle membrane riassorbibili che potrà risiedere:

  • nella possibilità di fare interventi flap-less per inserire gli impianti
  • nella garanzia di formazione di tessuto osseo attorno agli impianti posizionati contestualmente alla GBR senza la necessita di rimuovere la membrana e i dispositivi di fissaggio che potranno rimanere in situ.

Il problema della GBR eseguita con membrane riassorbibili rimane il PROBLEMA ancora irrisolto a quasi 20 anni dalla comparsa di queste membrane. I colleghi che incontro nel mio studio per corsi o frequentazioni in occasione di interventi mi mostrano regolarmente tutti i fallimenti delle GBR eseguiti con membrane riassorbibili.

CASI CLINICI CON CYTOPLAST RTM COLLAGEN


AUMENTO LOCALIZZATO DI VOLUME
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Difetto Osseo PassanteDIFETTO OSSEO PASSANTE
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D – Le membrane a veloce o medio riassorbimento possono avere possibilità d’impiego?

Certamente possono essere impiegate in siti estrattivi o al fine di contenere e dare un’iniziale stabilità al particolato dei sostituti ossei, ma queste indicazioni hanno poco a che fare con la stabilità che si cerca quando si impiega una membrana, riassorbibile o non riassorbibile, per la GBR.

D – Ma nonostante la sua criticità verso le riassorbibili sta utilizzandole con successo!

Ho diversi casi (tra cui quelli di questa newsletter) in cui la GBR viene eseguita con una membrana cross-linked (Cytoplast© RTM Collagen) associata ad osso omologo (enCore™ Combination Allograft). I rientri ci consentono di testare clinicamente il tessuto osseo dopo il periodo di guarigione e di verificare come sia in grado di mantenere perfettamente la sua integrità strutturale dopo l’osteotomia e l’inserimento degli impianti.

D – Mi sembra di non averle mai chiesto cosa le piace di più nella vita!

Mi piace quando riesco a trovare il mix ideale tra lavoro e tempo libero.
Mi piace quando riesco a capire quali sono le priorità nella mia vita e, a onor del vero, capita sempre più spesso.

Il dr Marzio Todisco nei giorni 8 e 9 Novembre ripeterà il corso sulla “ricostruzione tridimensionale dei processi alveolari con membrane”. Il corso si articola attraverso la teoria, le chirurgie dal vivo e un workshop pratico.

DR. MARZIO TODISCO, DESENZANO DEL GARDA (BS), 8-9 NOVEMBRE 2013
Ricostruzione tridimensionale dei processi alveolari con membrane. Corso teorico, chirurgico e pratico a numero chiuso.
> Scarica la locandina del corso

Peri-implantite: che fare?

Video-intervista al Dr. Emilio Maschera

Caso clinico

Peri-implantite su fixture inserita in zona 14 trattata con nuovi spazzolini in titanio I.C.T.

Dr. Emilio Maschera, Milano
> Download PDF

Il Dr. Emilio Maschera condivide la sua esperienza clinica nel trattamento della peri-implantite rispondendo in una video-intervista alle nostre domande:

Molti autorevoli ricercatori pronosticano un aumento molto significativo dei casi di peri-implantite. La sua esperienza conferma questo trend?
Quando la peri-implantite viene diagnosticata quali sono le opzioni terapeutiche?
Le superfici possono avere influenzato la malattia e possono influenzare il trattamento?
Ci si deve limitare a decontaminare l’impianto o si può rigenerare?

GBR Symposium – Highlights e temi dall’evento del 17-18 Maggio 2013

Si è svolto nei giorni 17 e 18 Maggio a Milano il GBR Symposium sponsorizzato da De Ore. I temi affrontati, come recitava il sottotitolo dell’evento, andavano dalla preservazione e ricostruzione alveolare fino alla GBR verticale.

Gli speaker invitati hanno potuto offrire un’overview completa delle ultime tecniche rigenerative applicate dalle indicazioni più “quotidiane” – come gli alveoli post estrattivi – a quelle più complesse di aumento tridimensionale dell’osso.

Tra le highlights si possono ricordare:

Il Dr Barry Bartee di Osteogenics ha mostrato un lavoro sperimentale della Tufts University per il quale “la membrana in PTFE non solo previene le modificazioni orizzontali della cresta dopo l’estrazione ma migliora la quantità dell’osso vestibolare rispetto alla situazione iniziale”.

Il dr Hom-Lay Wang ha dato precise indicazioni su alveoli postestrattvi e GBR mentre parlando di peri-implantite ha sostenuto che “in caso di peri-impiantite la terapia non chirurgica non è efficace” e ha mostrato l’impiego del brush in titanio I.C.T. per portare a liscie le superfici rugose dell’impianto.

“Non lo farò mai più” è quello che il dr Carlo Maria Soardi non vuole sentirsi dire dai pazienti e la ragione per la quale sta lavorando a diverse tecniche mini invasive tra cui ricostruzione alveolare con membrane “senza l’impiego del bisturi”.

La dettagliata presentazione del dr Fabrizio Belleggia sui materiali sostitutivi, supportata da numerose evidenze istologiche, si potrebbe riassumere così: i materiali di origine sintetica (come NanoBone®) sono indicati quantomeno nel seno mascellare (visti gli ottimi riscontri istologici), quelli eterologhi (come Equimatrix®) in tutte le indicazioni da soli o in associazione a osso autologo, mentre un tessuto omologo in una speciale combinazione come enCore® Combination Allograft è ideale in tutte le situazioni dove si richiede una performance superiore, sia che si tratti alveoli o di GBR verticali.

Il dr Marzio Todisco, nel confronto tra membrane di diversa tipologia,  ha mostrato come l’esito della GBR con membrane riassorbibili non sia così predicibile rispetto a quelle in PTFE, anche se le riassorbibili in collagene hanno delle loro precise indicazioni e quelle cross linked – come Cytoplast RTM – sembrano più affidabili rispetto a quelle naturali.

Un riassunto della sua grande esperienza in GBR verticale l’ha presentato il dr Marco Ronda il venerdì pomeriggio. Il sabato mattina, invece, ha condotto uno straordinario corso monotematico sulle tecniche per gli aumenti di volume nel mascellare superiore che ha tenuto i partecipanti in sala ben oltre l’orario previsto di chiusura lavori.

La sapiente presidenza dell’incontro del professor Massimo Simion ha guidato pubblico e speaker in un appassionante dibattito finale di alto livello sui temi più delicati delle procedure rigenerative. Il professor Simion ha anche invitato a monitorare le peri-implantiti che sembra si manifestino con un’eccessiva frequenza a distanza di cinque anni dall’inserimento implantare.

“Come è stato osservato da diversi partecipanti” – commenta il dr Andrea Nicolis di De Ore, sponsor dell’evento – “al GBR Symposium si è respirato una grande aria di novità pur nel rigore clinico e scientifico dei temi presentati. Coloro che vengono alle iniziative promosse da De Ore sanno che hanno l’opportunità di apprendere fattivamente tecniche e protocolli  e non solo di aggiornarsi. Per l’autunno abbiamo un programma di corsi molto interessante”.

I partecipanti hanno infine potuto conoscere meglio la gamma dei prodotti rigenerativi offerti da De Ore che in quest’occasione ha presentato il nuovo catalogo specializzato.

Verso il GBR Symposium. A colloquio con il dr. Marco Ronda

Il Back Stage della GBR, il mascellare superiore, enCore® Combination Allograft.

Casi clinici

GBR verticali con l’impiego di una combinazione di osso umano mineralizzato e demineralizzato (enCore® Combination Allograft) protetto da membrana Cytoplast ® Ti250 in dPTFE.

Dr. Marco Ronda, Genova
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Il dr. Marco Ronda, libero professionista a Genova e professore a contratto presso l’Università di Bologna, sarà uno dei relatori al GBR Symposium di Milano Assago del prossimo 17 e 18 Maggio 2013. Ne parliamo in occasione dell’ultimo corso teorico chirurgico che ha tenuto a Bologna sulla GBR verticale, ancora una volta esaurito.

D – In occasione del GBR Symposium di Milano, presenterà il suo materiale e i suoi protocolli sia il Venerdì pomeriggio che il Sabato mattina. Ci può anticipare qualcosa?

R – Il tema riguarda sempre la GBR ma sarebbe mia intenzione, soprattutto nella sessione del Venerdì, provare a parlare del “back stage” della rigenerazione, ovvero di tutta quella parte che va oltre l’aspetto puramente chirurgico.

D – Lei ritiene che ciò sia sufficiente per ottenere successo chirurgico nell’applicazione della tecnica di GBR?

R – La partita della GBR non la si vince a tavolino: la gestione dei tessuti molli resta sempre il cardine di successo, ma non basta. Per ottenere la ripetitività dei risultati si deve passare attraverso anche altri importanti dettagli quali  l’attenta valutazione delle indicazioni, le ideali condizioni di applicabilità, il team di lavoro prima e durante la chirurgia, la preparazione del caso ad arte. Sono tutti dettagli che se seguiti con rigore permettono al clinico, che ottiene un buon risultato, di non dover dire o pensare: è andata bene!

D – La sua standardizzazione procedurale, oltre che al metodo, riguarda anche i materiali?

R – Personalmente ho cercato sempre di standardizzare l’impiego dei materiali affinché le variabili possano essere il minor numero possibile: questa è la condizione che mi consente di ricercare con più facilità le cause di un eventuale insuccesso.
Eventuali cambiamenti, sia nei metodi che nei materiali, li introduco dopo attenta valutazione e, quando possibile,  se sono supportati dall’evidenza scientifica!

D – Recentemente ha impiegato enCore® Combination Allograft, che è una combinazione di osso umano mineralizzato e demineralizzato. Quali sono le sue impressioni?

R – Utilizzo materiale omologo mineralizzato da circa 8 anni e il razionale di un tessuto omologo costituito anche da una componente demineralizzata più induttiva mi ha indotto a testare anche enCore® Combination Allograft. I risultati, anche se riferiti ad un periodo di circa un anno, sembrano essere più che soddisfacenti: l’osso rigenerato appare molto maturo e ben vascolarizzato e le immagini radiologiche sono buone! È una differenza che ho notato subito, ancora prima di verificare i dati sulla cartella clinica. Guarda i casi clinici.

D – Per quanto riguarda la maneggevolezza?

R – Mi sembra ottima, probabilmente grazie alla componente demineralizzata che assorbe bene i liquidi.

D – Il Sabato mattina dell’incontro di Milano – Assago è tutto dedicato al un corso monotematico sugli aumenti di volume nel mascellare superiore… È un tema che può interessare anche i suoi colleghi che eseguono da anni i rialzi di seno mascellare?

R – Le tecniche chirurgiche di elevazione del pavimento del seno, crestale o laterale, consentono di poter garantire al paziente soluzione terapeutiche di tipo fisso anche in quelle aree postero-superiori prive della quota d’osso sufficiente all’implantologia convenzionale. Tuttavia queste tecniche, sebbene consentano la terapia implantologica, spesso non permettono il ripristino dei corretti rapporti impianto\corona. Questi si possono ottenere con l’applicazione di tecniche di incremento osseo crestale\verticale, quali ad esempio la GBR.
L’affrontare il trattamento di un difetto osseo con la conoscenza, teorica e pratica, di diverse tecniche chirurgiche può evitare l’accettazione di compromessi.
Il corso monotematico focalizzerà l’attenzione sulla gestione, il disegno e le caratteristiche dei tessuti molli, che sappiamo essere la chiave di lettura di qualsiasi tecnica di incremento volumetrico dei tessuti duri.

D – In questo periodo di crisi, i suoi corsi sono sempre esauriti. Quale percorso formativo consiglierebbe di seguire a tutti coloro che si volessero avvicinare a questa tecnica per evitare, come dice Lei, gli stessi imbarazzanti insuccessi che lei stesso dice di aver avuto nei primi anni novanta?

R – Naturalmente è tutto soggettivo e dipendente dalle conoscenze e dalla manualità operativa che ciascun clinico ha già acquisito durante gli anni di formazione e lavoro.
Credo solo di poter dire che la GBR non sia una tecnica complessa ma che, affinché i buoni risultati siano sistematici e non occasionali, sia necessario aver completato la curva di apprendimento sia essa teorica che pratica.

Arrivederci a Milano Assago per il GBR Symposium di Venerdì 17 e il corso monotematico sul mascellare superiore di Sabato 18 Maggio.

Verso il GBR Symposium: a colloquio con i dottori Wang e Soardi.

Casi clinici

Tecnica mini invasiva per la ricostruzione alveolare con membrana Cytoplast TXT 1224 in dPTFE.

Dr. Carlo Maria Soardi
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Il dr Hom-Lay Wang è professore di paradontologia all’Università del Michigan e ricopre importanti incarichi all’interno di organizzazioni quali l’Academy of Osseointegration, l’American Board of Periodontology, l’ICOI. È Associate Editor per The International Journal of Oral & Maxillofacial Implants e membro del board editoriale per riviste quali JP, JCP, IJPRD. Avendo pubblicato oltre 250 articoli, è probabilmente l’autore con il più alto numero di pubblicazioni scientifiche, almeno in odontoiatria.

Lo incontriamo in occasione della sua presentazione al congresso SICOI dello scorso Ottobre 2012. È in  compagnia del prof. Carlo Maria Soardi di Brescia, con il quale sta lavorando, tra le altre cose, anche sul tema della ricostruzione degli alveoli post estrattivi. Su questo tema il prof. Soardi ci mostra anche un caso clinico.

Entrambi presenteranno le loro tecniche e i loro lavori clinici al GBR Symposium del 17 Maggio a Milano-Assago

Dr Wang, che impressioni ha avuto presentando la tecnica delle membrane esposte in Italia?

Qui, come in altri paesi Europei, ci sono molti clinici che potrebbero usare la tecnica del PTFE lasciato esposto nell’alveolo post-estrattivo ma molti sono ancora influenzati dal materiale Goretex che non poteva essere lasciato esposto. Io stesso, personalmente, non l’avrei mai fatto. Invece dai lavori più recenti sappiamo che con l’impiego della membrana Cytoplast in dPTFE esposta, oltre a mantenere l’altezza della cresta, riusciamo a preservarne la larghezza e poi, dopo la rimozione, otteniamo un aumento della gengiva cheratinizzata.

Cosa pensa delle tecniche con membrana riassorbibile esposta?

Il concetto della membrana in collagene esposta dovrebbe aiutare la funzione chemiotattica dei fibroblasti, ma dalle prove cliniche abbiamo visto che non è necessario.

Inserite sempre dell’innesto osseo negli alveoli?

Non abbiamo un approccio unico perché bisogna fare le cose che hanno senso in base alle indicazioni: usiamo insieme o alternativamente sostituti ossei, plug di collagene, membrana in dPTFE esposta per circa tre/quattro  settimane, momento in cui la rimuoviamo.

Che osso utilizzate?

Come ho mostrato nella mia presentazione noi utilizziamo osso umano, tra cui anche enCore™ Combination Allograft, che  oltre ad avere un vantaggio nella sua composizione combinata di mineralizzato e demineralizzato è disponibile nella confezione da 0,5 cc, quantità ideale per un sito postestrattivo. So che in Europa l’osso umano in genere è meno diffuso che negli USA ma si tratta di un’ottima alternativa.

Quando verrà in Italia quali altri temi affronterà?

Maggiori sono i difetti ossei da trattare, maggiori sono le difficoltà per mobilizzare i lembi ed ottenere una copertura delle membrane. Presenteremo diversi “clinical tips” e dei nuovi lembi, tra cui un lembo a busta per la GBR orizzontale che mobilizza i tessuti, agevola l’inserimento dell’osso e stabilizza l’area dell’aumento. Parleremo anche di peri-implantite, un atro argomento che necessita grande attenzione…

Prof. Soardi, lei è stato tra i primi a utilizzare le membrane in PTFE ad alta densità non solo per la preservazione alveolare ma anche per la ricostruzione ossea…

Credo che l’importante non sia il polimero, ma come viene trattato. Anche nella mia esperienza, come quella di tutti, era molto difficile mantenere esposto il PTFE espanso. Avevo quasi abbandonato la tecnica. Non voglio fare di tutte le erbe un fascio, ma non vedo particolari problemi ad avere il PTFE ad alta densità esposto per alcune settimane. L’unica cosa a cui bisogna fare attenzione è che i tessuti coprano i margini del materiale ricreando, ne ho l’impressione, un ambiente chiuso per la rigenerazione.  Sebbene il PTFE non sia un materiale adesivo, sembra quasi che i fibroblasti aderiscano alla superficie esterna della membrana.

Guardando i suoi casi si nota che ha apportato delle interessanti modifiche alla tecnica Cytoplast “classica” dell’alveolo postestrattivo per renderla il più efficace e il meno invasiva possibile.

Alla base della chirurgia mini invasiva c’è il concetto : “blood is life”. Dobbiamo scollare il meno possibile ed incidere il meno possibile perché l’innesto deve avere tutto il supporto ematico che gli serve. Fatte queste premesse il modo più semplice per portare la membrana alla profondità richiesta è un punto “trasfisso”: passiamo la sutura attraverso il muco periosteo (la parete ossea nel caso illustrato di ricostruzione alveolare non c’è più) e quindi trasciniamo e fissiamo alla profondità voluta il margine della membrana.

Considera la GBR una procedura mini invasiva?

Certo. L’utilizzo di queste tecnologie è un altro passo verso una implantologia corretta gestibile senza dover ricorrere a prelievi di teca cranica e senza dover ospedalizzare i pazienti. Non voglio mettere i miei pazienti nelle condizioni che debbano dire “non lo farò mai più!”.

Prof. Soardi, chiudiamo sempre le nostre interviste chiedendo cosa piace di più nella vita.

Le rispondo con una frase di Kurt Cobain, il front man dei Nirvana: “Quando il mio corpo sarà cenere, nel vento troverò la mia libertà”. A me piace la libertà.

Nella sala del congresso il dr Wang viene “catturato” dai colleghi. A lui, cosa gli piace di più nella vita lo chiederemo al GBR Symposium il  17 e 18 Maggio a Milano, Assago